In Italia è sempre più pesante il linguaggio volgare in ambito sportivo. Almeno sui social media. Sul campione analizzato dalla ricerca realizzata nel progetto “Odiare non è uno sport”, quasi un commento su tre è considerato d’odio. L’hate speech aumenta; si riduce leggermente la discriminazione.
Piove odio nel linguaggio espresso sui social media su temi sportivi. E la ricerca del Barometro dell’odio nello Sport, presentato oggi, 25 ottobre, al Foro Italico, con i suoi risultati vuole segnalarne il grado di pressione.
I crescenti discorsi d’odio, il cosiddetto “hate speech”, sono ben evidenziati dai numeri di questa ricerca, realizzata dal Centro CODER dell’Università di Torino nell’ambito del progetto “Odiare non è uno sport”, realizzato con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che ha monitorato per tre mesi, dal 1° ottobre 2022 al 6 gennaio 2023, i social (Facebook e Twitter) delle 5 principali testate sportive italiane: Gazzetta dello Sport, Tuttosport, Il Corriere dello Sport, Sky Sport e Sport Mediaset.
Quattro le categorie utilizzate per definire l’hate speech: linguaggio volgare, aggressività verbale, aggressività fisica e discriminazione.
UN MILIONE DI COMMENTI D’ODIO
Nel campione analizzato, pari 3.412.956 su Facebook e 29.625 su Twitter, circa un milione di commenti sono stati classificati come hate speech e di questi circa 200.000 contenevano almeno un riferimento alla discriminazione.
Il calcio è il tema dominante nelle interazioni online: rappresenta circa il 96% dei post analizzati su Facebook e Twitter.
Tutte le squadre di calcio mostrano livelli simili di linguaggio d’odio nel flusso dei commenti.
L’HATE SPEECH AUMENTA, IN LEGGERO CALO LA DISCRIMINAZIONE
Su Facebook, rispetto al 2019, anno della prima rilevazione, la percentuale di post senza commenti di odio è diminuita dal 25,7% al 15,1%, mentre i post con più di 25 commenti di hate speech sono aumentati dal 13,6% al 29,8%. Anche su Twitter, rispetto al 2019, la percentuale di hate speech è cresciuta in maniera significativa: il 54,9% dei commenti è stato identificato come hate speech, mentre nel 2019 era il 31%. La dimensione più frequente è rappresentata dall’aggressività verbale con una percentuale pari al 67,3%, seguita dal linguaggio volgare con il 22,1% Mentre discriminazione e aggressività fisica registrano valori più bassi nel 2022 rispetto al 2019, passando rispettivamente da 7% a 6,5% e da 6% a 4,1%.
IL CALCIO AL CENTRO DEI DISCORSI D’ODIO
Dalla ricerca si evince che oltre il 95% dei post analizzati riguarda il calcio e che alcuni personaggi collegati a questo sport – calciatori, allenatori, commentatori e compagne di calciatori – contribuiscono a generare un alto volume di interazioni a cui corrisponde una quota variabile tra il 10 e il 20% di volgarità, aggressività e discriminazione.
Nel complesso la ricerca evidenzia l’importanza di affrontare il problema dell’hate speech nello sport online, promuovendo un ambiente inclusivo attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori in campo.
ODIARE NON È UNO SPORT – IL PROGETTO
La ricerca rientra nell’ambito del progetto “Odiare non è uno sport” (AID 012618/4), realizzato con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – tramite il bando “Educazione alla Cittadinanza Globale” – e promosso dal Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo (CVCS) in partenariato con 7 ONG italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (Amici dei Popoli ONG, ASPEm, CELIM Milano, COMI – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo, Cope Cooperazione Paesi Emergenti, LVIA, Progettomondo), gli Enti di Promozione Sportiva Centro Sportivo Italiano e Centro Nazionale Sportivo Libertas, Informatici Senza Frontiere APS e ImpactSkills per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche, e due Atenei (Università degli Studi di Torino e Università degli Studi di Trieste) per la realizzazione della ricerca e la supervisione scientifica.
Alla presentazione del Barometro dell’odio nello sport, nella Sala Presidenti del Coni al Foro Italico, hanno partecipato autorevoli esponenti e testimonial del mondo sportivo. Un coro unanime avverso alla minaccia del dilagante fenomeno dell’odio.
Vittorio Bosio, Presidente nazionale Centro Sportivo Italiano, dichiara: «Il CSI è da sempre in prima linea nel promuovere lo sport inteso come veicolo di crescita, inclusione e confronto. E non ha potuto far mancare la propria voce nel progetto “Odiare non è uno sport”. Poniamo infatti grande attenzione alla dimensione digitale dei confronti e delle relazioni, negli ultimi anni inquinate, con il diffondersi dei social media, sovente da insulti, scontri, parole e minacce d’odio. Lo sport deve rimanere un gioco, un divertimento e mai sfociare in odio. Ogni partita è sempre un incontro. Avversari sì. Nemici mai».
«Il progetto “Odiare non è uno Sport” è per noi estremamente significativo, perché ci permette di contribuire alla costruzione di uno sport che sia luogo e ambiente sicuro, soprattutto per i giovani e giovanissimi. Ogni parola che lede la dignità di una persona, che la ferisce e che la fa sentire un bersaglio è pura violenza», fa presente Andrea Pantano, Presidente nazionale Libertas. «Un’aggressione che può minare il delicato percorso di crescita dei nostri ragazzi, facendoli sentire soli, sbagliati e fragili. Lo sport può e deve essere una possibilità di autorealizzazione e di sperimentazione di sé, un posto in cui sentirsi sé stessi e al sicuro. Per questo abbiamo scelto di far parte di questa importante progettazione».
La coordinatrice progetto “Odiare non è uno sport”, Sara Fornasir, evidenzia che «il Barometro dell’Odio nello Sport documenta l’allarmante crescita di un fenomeno che definisce con toni offensivi e discriminatori il contesto culturale in cui gli utenti del web interagiscono quotidianamente. I giovani possono essere divulgatori di una comunicazione orientata invece al rispetto e alla tolleranza, proprio per questo il progetto “Odiare non è uno sport” sviluppa un grande numero di interventi educativi in classe e nelle società sportive che valorizzino i valori positivi dello sport tra le nuove generazioni».
Per Giuliano Bobba, professore all’Università degli Studi di Torino, Il fenomeno non è in diminuzione, ma in crescita. «Guardando i dati complessivi, soprattutto Facebook, vediamo che il livello di hate speech generale è aumentato e che sono pochissimi i post a cui non fanno seguito commenti d’odio», afferma. «Questo significa che, se sono una persona che per informarsi su quanto avviene in ambito sportivo usa i social, quasi sicuramente mi imbatterò in varie forme di hate speech. Le conseguenze possono essere molteplici: posso partecipare anche io a questo flusso, oppure allontanarsi ed evitare quell’ambiente perché resto colpito in maniera negativa».